NIGERIA
Capitale: ABUJA
Popolazione: 150.000.000
Superficie: 923.768 km2
Lingue: inglese, yoruba, hausa, igbo e altre.
Popolazione: 150.000.000
Superficie: 923.768 km2
Lingue: inglese, yoruba, hausa, igbo e altre.
Religioni: musulmani 50%, cristiani (40%), culti tradizionali locali.
Moneta: Naira
Di Anna
Mazzone 09/01/2012
“Tutti coloro che non sono governati da ciò che Allah ha rivelato
sono dei trasgressori”. E’ questa la frase coranica sulla quale il gruppo estremista nigeriano Boko
Haram ha
costruito la sua ideologia e la sua storia, fatta di sangue e sharia.
Il nome ufficiale del gruppo di estremisti islamici nato in Nigeria nel 2002 (e che è votato
alla persecuzione della comunità cristiana del Paese) è Jama’atu Ahlis Sunna
Lidda’awati wal-Jihad, che letteralmente significa “Popolo
impegnato a diffondere gli insegnamenti del Profeta e il Jihad“. Un
appellativo troppo lungo, che ben presto a Maiduguri, nel nord della Nigeria,
dove il gruppo terroristico affonda le sue radici, è stato abbreviato in Boko
Haram. Ossia: “Vietata l’educazione occidentale”.
Pur essendo un gruppo nato da nove anni, i Boko
Haram sono frutto di una storia lontana, che inizia nell’Ottocento, quando il
nord della Nigeria si chiamava Califfato di Sokoto. Uno dei più grandi imperi d’Africa,
frutto di diverse “guerre sante” condotte agli inizi del diciannovesimo secolo
in tutta l’area. Il Califfato di Sokoto era il centro di tutte le attività
politiche ed economiche della regione, finché non arrivarono i francesi e gli
inglesi ai primi del Novecento. E da lì che il jihad, prima
interpretato in chiave “locale”, diventa un mezzo di rivalsa contro i
colonizzatori occidentali.
A quell’epoca, come forma di protesta, molte
famiglie si rifiutarono di mandare i propri figli nelle “scuole occidentali”, e
scelsero invece di fargli ricevere l’eucazione di base nelle madrasse. La
regione settentrionale della Nigeria, allora come oggi, era caratterizzata da povertà e
fame endemiche. L’arrivo degli europei esacerbò notevolmente il clima e portò a
numerosi scontri. Ai nostri giorni la situazione della Nigeria del nord non è
cambiata. L’area è ancora afflitta dalla povertà e il gruppo Boko Haram si
nutre di sentimenti di rabbia e disperazione che, non essendoci più né i
francesi né gli inglesi, si indirizzano verso il governo centrale guidato dal presidente
Goodluck Jonathan, che è
accusato di favorire il sud del Paese, che gode di condizioni più agiate
rispetto al nord.
Il gruppo aveva in Mohamed Yusuf la sua guida,
almeno fino al 2009, quando il leader venne catturato e dopo un interrogatorio sommario, venne ucciso dalle
forze di sicurezza nigeriane. Le immagini della sua morte furono trasmesse in
televisione, come monito futuro per i miliziani. Ma la “setta” trovò in fretta
un nuovo guru e ripresero gli attentati contro la polizia e le comunità
cristiane del Paese. Centinaia di morti (almeno 500) solo nel 2011.
Migliaia dall’anno della fondazione del gruppo terroristico, con un’attività
che si è intensificata negli ultimi due anni e che ha alzato il tiro verso
obiettivi più “visibili” sul palcoscenico internazionale. La strategia è quella classica
di ogni nucleo estremista: seminare la paura e poi
mieterne i frutti.
La setta non è molto numerosa. Si
contano circa 350 miliziani che,
in un Paese di 150 milioni di abitanti come la Nigeria, rappresentano una
goccia in mezzo al mare. Ma i loro recenti attacchi nel giorno di Natale alla
chiesa cristiana di Santa Teresa ad Abuja hanno profondamente colpito la
comunità internazionale. Così come era successo il 26 agosto del 2011, quando
il gruppo fece un “salto di qualità”, facendo esplodere delle bombe nella sede
delle Nazioni Unite della capitale nigeriana. Allora, tutto il mondo si accorse della sua esistenza. Una
strategia vincente, dal punto di vista dei Boko Haram.
E, infatti, a fine novembre del 2011 il Congresso americano li
definisce “una minaccia emergente” per la sicurezza degli Stati
Uniti. Il timore più grande è che gli adepti della setta nigeriana possano unirsi ai fratelli di
al Qaeda e attaccare su più fronti. D’altronde, proprio gli Usa
hanno avuto un assaggio delle loro possibilità a Natale del 2009, quando il
24enne Umar Farouk Abdulmutallab (di nazionalità nigeriana) tentò di
far esplodere il volo Amsterdam-Detroit della compagnia americanaDelta Airlines. Secondo gli analisti
statunitensi, i Boko Haram hanno già stabilito legami con altri gruppi qaedisti
che operano in Africa, entrando a far parte di una vera e propria rete del
terrore con cellule sparse in tutto il Continente.
Recentemente, lo stesso presidente Goodluck Jonathan, che - prima degli attentati di Natale
contro i cristiani - aveva aperto alla possibilità di una negoziazione con i
miliziani del gruppo, ha annunciato una nuova strategia, ancora più radicale,
per eliminare la minaccia nella parte settentrionale del Paese e ha decretato lo stato di
emergenza nel Nord della Nigeria. Jonathan ha anche puntato il dito contro
alcuni rappresentanti del suo governo, senza però fare nomi. Secondo il capo di
Stato nigeriano, ci sarebbero dei simpatizzanti di Boko Haram anche nel suo
esecutivo.
Certo è che finora la polizia non è stata tenera con il gruppo.
Esecuzioni sommarie, senza processo né certezza di un’affiliazione, sono state
riprese e poi diffuse in televisione. I video possono essere trovati su Youtube (li potete visionare qui, ma vi avvertiamo che sono
particolarmente cruenti) e hanno scatenato una serie
di polemiche ed esacerbato ulteriormente gli animi al nord, dove in molti
si sentono “traditi” dal governo centrale. E’ in questo humus di rabbia e vendetta che il gruppo Boko
Haram, inizialmente piccolo ed estremamente localizzato, può gonfiare i suoi
muscoli e assurgere a “minaccia” internazionale.
Ora sta a Goodluck Jonathan trovare una soluzione. La
strada della risposta dura finora non sembra aver portato molti frutti, e forse
una maggiore attenzione alla drammatica condizione del parte settentrionale del
Paese potrebbe indebolire i terroristi. In fondo, la gente nel nord della
Nigeria chiede pane e non sharia.
La setta islamica è responsabile dei recenti
attentati contro i cristiani nel Nord del paese. Nella lotta per il potere la
spaccatura religiosa si somma a quella etnico-regionale. Il governo non sembra
in grado di fermare la violenza.
In
Nigeria le violenze contro la comunità cristiana presente nelle regioni settentrionali,
a maggioranza musulmana, si susseguono ormai con una cadenza quasi giornaliera.
Dopo gli attentati di Natale, nei quali hanno perso la vita circa quaranta
persone, i morti continuano ad aumentare: negli ultimi giorni del 2011 il
numero delle vittime era più che raddoppiato, mentre tra mercoledì e sabato
della scorsa settimana, nel nord-est del paese, l’esplosione di tre ordigni
nella città di Maiduguri - capitale dello Stato di Borno - e almeno altrettanti
attacchi contro alcune chiese e un rito funebre hanno ucciso trenta persone.
Gli
attentati sono stati rivendicati dal gruppo integralista islamico dei Boko Haram, dopo che lo stesso
movimento, con comunicato apparso il 2 gennaio su un quotidiano locale, aveva
intimato a tutti i cristiani residenti al Nord di trasferirsi altrove.
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