lunedì 30 dicembre 2013
venerdì 20 dicembre 2013
cos'è l'ergastolo ostativo
È una pena senza fine che in base all’art. 4 bis dell’ Ordinamento
Penitenziario, mod. con Legge 356/92, nega ogni misura alternativa al carcere e
ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi:
“ Pochi sanno che i tipi di
ergastolo sono due: quello normale, che manca di umanità, proporzionalità,
legalità, eguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio; poi c’è
quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna
speranza.
Per meglio comprendere la
questione bisogna avere presente la legge 356/92 che introduce nel sistema di
esecuzione delle pene detentive una sorta di doppio binario, nel senso che, per
taluni delitti ritenuti di particolare allarme sociale, il legislatore ha
previsto un regime speciale, che si risolve nell’escludere dal trattamento
extramurario i condannati, a meno che questi collaborino con la giustizia: per
questo motivo molti ergastolani non possono godere di alcun beneficio
penitenziario e di fatto sono condannati a morire in carcere. L’ergastolo del
passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una
speranza di non morire in carcere, ora questa probabilità non esiste neppure
più.
Dal 1992 nasce l’ergastolo
ostativo, ritorna la pena perpetua, o meglio la pena di morte viva.”
Insomma l’ergastolo ostativo è stare in carcere per tutta la vita, è
una pena che viene data a chi ha fatto parte di un’associazione a delinquere e
che ha partecipato a vario titolo ad un omicidio, dall’esecutore materiale all’ultimo
favoreggiatore. Ostativo vuol dire che è negato ogni beneficio penitenziario:
permessi premio, semilibertà, liberazione condizionale, ameno che non si collabori
con la giustizia per l’arresto di altre persone.
Si continua a parlare di “pentiti”, mentre in realtà si dovrebbero chiamare
semplicemente “ collaboratori di giustizia”, perché è evidente che la
collaborazione è una scelta processuale, mentre il pentimento è uno stato
interiore. La collaborazione permette di uscire dal carcere, ma non prova
affatto il pentimento interiore della persona. In realtà sono gli anni di
carcere, nella riflessione e nella sofferenza, che portano ad una revisione
interiore sugli errori del passato. Tutto questo nonostante un sistema
carcerario che abbandona i detenuti a se stessi e che non agevola affatto la rieducazione
e, nel caso degli ergastoli ostativi, esclude completamente ogni speranza di
reinserimento sociale.
Noi incontriamo ogni settimana decine e decine di persone condannate
all’ergastolo, senza speranza, ostativi ai benefici penitenziari, persone che sono
in carcere dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all’ergastolo
a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre.
Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che
fuori.
In Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di
26 anni di detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà
condizionale. La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent’anni di
detenzione.
Al 31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano 1512: quadruplicati
negli ultimi sedici anni, mente la popolazione ”comune” detenuta è “ solamente”
raddoppiata.
Al 31 dicembre 2010 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano
67961 e quelli in semilibertà poco più di 900 e di questi solo 29 sono ergastolani.
29 su 1512, a fronte di quasi 100 in detenzione da oltre 26 anni: non
esiste,eccome, in Italia la certezza della pena?
Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia ha
rilasciato questa dichiarazione:
(…) Per finire, e qui mi allaccio
ai progetti di riforma del Codice penale, non so se i tempi sono maturi, ma
anche una riflessione sull’ergastolo forse bisognerà pure farla, perché l’ergastolo,
è vero che ha all’interno dell’Ordinamento dei correttivi possibili, con le
misure come la liberazione condizionale e altro, ma ci sono moltissimi detenuti
oggi in Italia che prendono l’ergastolo, tutti per reati ostativi, e sono
praticamente persone condannate a morire in carcere. Anche su questo, forse,
una qualche iniziativa cauta di apertura credo che vada presa, perché non
possiamo, in un sistema costituzionale che prevede la rieducazione, che prevede
il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, lasciare questa pena
perpetua, che per certe categorie di autori di reato è assolutamente certa, nel
senso che non ci sono spazi possibili per diverse vie di uscita. (Roma 28
maggio 2010, intervento al Convegno Carceri 2010: il limite penale ed il senso
di umanità).
Aldo Moro nelle sue lezioni universitarie avvertiva gli studenti, ma
forse anche il legislatore e i politici:
“ Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei
privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico , quindi, ha tutta la misura propria degli
interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di
reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla
necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si
esprime in una pena giusta”.
L’ergastolo ostativo è una pena senza fine che in base all’art.4 dell’Ordinamento
Penitenziario mod. con Legga 356/92, nega ogni misura alternativa al carcere e
ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi. Questo
anche per coloro che nel merito, riconosciuto da educatori e giudici, come nel
caso di Carmelo Musumeci, dovrebbero lasciare il carcere perché evidentemente “recuperati”
( come vorrebbe l’art.27 della nostra Costituzione).
“ Serbare rancore equivale a
prendere un veleno e sperare che l’altro muoia” (William Shakespeare)
… Credo che la non collaborazione dovrebbe essere una scelta intima, un
diritto personalissimo e inviolabile, e non dovrebbe assolutamente portare
conseguenze penali (o di trattamento) così gravi e perenni. Penso che la non
collaborazione dovrebbe essere una scelta da rispettare e non dovrebbe essere
punita con una conseguenza così grande e smisurata per un ergastolano ostativo, a tal punto che
sembra che la non collaborazione sia ancora più grave del reato commesso. Credo
che un uomo abbia il diritto di scegliere di non collaborare per le proprie
convinzioni ideologiche, morali, religiose, o di protezione dei propri
familiari.
Sto cercando di migliorarmi e di
cambiare rimanendo me stesso, probabilmente per i “buoni” questa è una colpa grave e mi costerà vivere in
carcere fino all’ultimo dei miei giorni, colpevole e cattivo per sempre, ma in
carcere si soffre di più quando si viene perdonati, per questo, sotto un certo
punto di vista, molti di noi non possono che essere felici che i “buoni” non ci
perdonino.
Carmelo Musumeci
Carcere Spoleto, gennaio 2012
Iscriviti a:
Post (Atom)