lunedì 30 dicembre 2013
venerdì 20 dicembre 2013
cos'è l'ergastolo ostativo
È una pena senza fine che in base all’art. 4 bis dell’ Ordinamento
Penitenziario, mod. con Legge 356/92, nega ogni misura alternativa al carcere e
ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi:
“ Pochi sanno che i tipi di
ergastolo sono due: quello normale, che manca di umanità, proporzionalità,
legalità, eguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio; poi c’è
quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna
speranza.
Per meglio comprendere la
questione bisogna avere presente la legge 356/92 che introduce nel sistema di
esecuzione delle pene detentive una sorta di doppio binario, nel senso che, per
taluni delitti ritenuti di particolare allarme sociale, il legislatore ha
previsto un regime speciale, che si risolve nell’escludere dal trattamento
extramurario i condannati, a meno che questi collaborino con la giustizia: per
questo motivo molti ergastolani non possono godere di alcun beneficio
penitenziario e di fatto sono condannati a morire in carcere. L’ergastolo del
passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una
speranza di non morire in carcere, ora questa probabilità non esiste neppure
più.
Dal 1992 nasce l’ergastolo
ostativo, ritorna la pena perpetua, o meglio la pena di morte viva.”
Insomma l’ergastolo ostativo è stare in carcere per tutta la vita, è
una pena che viene data a chi ha fatto parte di un’associazione a delinquere e
che ha partecipato a vario titolo ad un omicidio, dall’esecutore materiale all’ultimo
favoreggiatore. Ostativo vuol dire che è negato ogni beneficio penitenziario:
permessi premio, semilibertà, liberazione condizionale, ameno che non si collabori
con la giustizia per l’arresto di altre persone.
Si continua a parlare di “pentiti”, mentre in realtà si dovrebbero chiamare
semplicemente “ collaboratori di giustizia”, perché è evidente che la
collaborazione è una scelta processuale, mentre il pentimento è uno stato
interiore. La collaborazione permette di uscire dal carcere, ma non prova
affatto il pentimento interiore della persona. In realtà sono gli anni di
carcere, nella riflessione e nella sofferenza, che portano ad una revisione
interiore sugli errori del passato. Tutto questo nonostante un sistema
carcerario che abbandona i detenuti a se stessi e che non agevola affatto la rieducazione
e, nel caso degli ergastoli ostativi, esclude completamente ogni speranza di
reinserimento sociale.
Noi incontriamo ogni settimana decine e decine di persone condannate
all’ergastolo, senza speranza, ostativi ai benefici penitenziari, persone che sono
in carcere dal 1979, ragazzi di 40 anni che sono stati condannati all’ergastolo
a 18 anni e che non sono mai usciti, neanche per il funerale del padre.
Ragazzi che hanno vissuto più tempo della loro vita in carcere che
fuori.
In Italia ci sono più di 100 ergastolani che hanno alle spalle più di
26 anni di detenzione, il limite previsto per accedere alla libertà
condizionale. La metà di questi 100 ha addirittura superato i trent’anni di
detenzione.
Al 31 dicembre 2010 gli ergastolani in Italia erano 1512: quadruplicati
negli ultimi sedici anni, mente la popolazione ”comune” detenuta è “ solamente”
raddoppiata.
Al 31 dicembre 2010 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano
67961 e quelli in semilibertà poco più di 900 e di questi solo 29 sono ergastolani.
29 su 1512, a fronte di quasi 100 in detenzione da oltre 26 anni: non
esiste,eccome, in Italia la certezza della pena?
Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia ha
rilasciato questa dichiarazione:
(…) Per finire, e qui mi allaccio
ai progetti di riforma del Codice penale, non so se i tempi sono maturi, ma
anche una riflessione sull’ergastolo forse bisognerà pure farla, perché l’ergastolo,
è vero che ha all’interno dell’Ordinamento dei correttivi possibili, con le
misure come la liberazione condizionale e altro, ma ci sono moltissimi detenuti
oggi in Italia che prendono l’ergastolo, tutti per reati ostativi, e sono
praticamente persone condannate a morire in carcere. Anche su questo, forse,
una qualche iniziativa cauta di apertura credo che vada presa, perché non
possiamo, in un sistema costituzionale che prevede la rieducazione, che prevede
il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, lasciare questa pena
perpetua, che per certe categorie di autori di reato è assolutamente certa, nel
senso che non ci sono spazi possibili per diverse vie di uscita. (Roma 28
maggio 2010, intervento al Convegno Carceri 2010: il limite penale ed il senso
di umanità).
Aldo Moro nelle sue lezioni universitarie avvertiva gli studenti, ma
forse anche il legislatore e i politici:
“ Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei
privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico , quindi, ha tutta la misura propria degli
interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di
reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla
necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si
esprime in una pena giusta”.
L’ergastolo ostativo è una pena senza fine che in base all’art.4 dell’Ordinamento
Penitenziario mod. con Legga 356/92, nega ogni misura alternativa al carcere e
ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi. Questo
anche per coloro che nel merito, riconosciuto da educatori e giudici, come nel
caso di Carmelo Musumeci, dovrebbero lasciare il carcere perché evidentemente “recuperati”
( come vorrebbe l’art.27 della nostra Costituzione).
“ Serbare rancore equivale a
prendere un veleno e sperare che l’altro muoia” (William Shakespeare)
… Credo che la non collaborazione dovrebbe essere una scelta intima, un
diritto personalissimo e inviolabile, e non dovrebbe assolutamente portare
conseguenze penali (o di trattamento) così gravi e perenni. Penso che la non
collaborazione dovrebbe essere una scelta da rispettare e non dovrebbe essere
punita con una conseguenza così grande e smisurata per un ergastolano ostativo, a tal punto che
sembra che la non collaborazione sia ancora più grave del reato commesso. Credo
che un uomo abbia il diritto di scegliere di non collaborare per le proprie
convinzioni ideologiche, morali, religiose, o di protezione dei propri
familiari.
Sto cercando di migliorarmi e di
cambiare rimanendo me stesso, probabilmente per i “buoni” questa è una colpa grave e mi costerà vivere in
carcere fino all’ultimo dei miei giorni, colpevole e cattivo per sempre, ma in
carcere si soffre di più quando si viene perdonati, per questo, sotto un certo
punto di vista, molti di noi non possono che essere felici che i “buoni” non ci
perdonino.
Carmelo Musumeci
Carcere Spoleto, gennaio 2012
venerdì 29 novembre 2013
Amos 5:21-24
Io odio, disprezzo le vostre feste, non prendo piacere nelle vostre assemblee solenni. Se mi offrite i vostri olocausti e le vostre offerte, io non le gradisco; e non tengo conto delle bestie grasse che mi offrite in sacrifici di riconoscenza. Allontana da me il rumore dei tuoi canti! Non voglio più sentire il suono delle tue cetre! Scorra piuttosto il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne!
Sermone
Sorelle e fratelli, se io chiedessi a ciascuno di voi, il motivo per il quale siamo oggi riuniti qui, sono sicura che la risposta sarebbe: “Per rendere un culto a Dio” e se io vi dicessi che Dio non solo non gradisce ma addirittura odia, disprezza le nostre assemblee, non vuole più ascoltare i nostri canti, il suono dell’organo, le nostre preghiere, non tiene conto delle nostre offerte, ci respinge, gira il suo volto da un’altra parte…come ci rimarreste? Ovviamente male, molto male ! Resteremmo tutti sorpresi, sconvolti, disorientati da un Dio al quale cerchiamo di offrire un culto e che invece lancia verso di noi espressioni pesanti come macigni:” Io odio, disprezzo, non gradisco” E’come se Dio ci dicesse: ” Io non voglio né vedervi, né sentirvi, sparite dalla mia vista!”
Pensate se all’improvviso, durante un nostro culto, entrasse Dio e dicesse: Alt! Fermatevi! Non sopporto più le vostre parole ed i vostri canti, per me sono solo rumori; che si fermi l’organo, che taccia il predicatore! Ma che state facendo? E’ un culto per me? No grazie, io non lo gradisco, sospendetelo subito”.
Ma come è possibile che il nostro Dio, un Dio che è amore, misericordia, accoglienza, pazienza, compassione… ci respinga a tal punto? “ Io odio, disprezzo le vostre assemblee” dice Dio, perché voi non praticate il diritto e la giustizia, queste sono le cose più importanti per me, tutto il resto non conta, è soltanto frastuono, confusione.
Il testo sottoposto oggi alla nostra attenzione dal lezionario “Un giorno, una parola” si trova nel libro del profeta Amos ed è di un’attualità sconvolgente perché parla di diritto e giustizia in un mondo dove si è smarrito il senso di queste due parole ! Come possiamo infatti oggi, parlare di diritto e giustizia ai nostri giovani ai quali è negato il diritto allo studio prima ed al lavoro dopo? Come è possibile parlare di diritto e giustizia ai nostri anziani ai quali è negato il diritto ad una vecchiaia dignitosa, il diritto a sopravvivere? Come parlare di diritto e giustizia a tutti coloro che sono vittime delle ingiustizie, dei soprusi, degli abusi da parte dei più forti, dei più potenti? Quale giustizia viene resa alle donne violentate, quale diritto all’infanzia per i bambini soldato, per le prostitute bambine, per tutti quei bambini usati per svolgere lavori pesanti? Quali parole usare per parlare di diritto e giustizia agli immigrati ai quali si nega il diritto di cittadinanza?
Giustizia! Parlare di giustizia oggi! “ La legge è uguale per tutti “ è scritto nelle aule dei tribunali, ma è proprio lì invece che la legge spesso non è uguale per tutti! Amos denuncia il fatto che ai giudici veniva offerto del denaro e ciò favoriva i ricchi ed i potenti mentre al povero, che non poteva pagare, non era neppure concessa un’udienza. Anche oggi nei processi, chi riesce ad uscirne indenne, talvolta non è l’innocente ma la persona facoltosa che ha tanto denaro da pagare i migliori avvocati, molto abili nel capovolgere le situazioni a favore del proprio cliente, sovvertendo il diritto e la giustizia. “Odiate il male, amate il bene” ammonisce ancora il profeta Amos in alcuni versetti precedenti “e nei tribunali stabilite saldamente il diritto” (Amos 5,15 a ).
Il profeta si scaglia contro coloro che partecipavano al culto solo per accrescere la propria reputazione, per autocompiacimento; il culto era diventato un’assemblea ricca di canti, sacrifici, feste e niente di più, una liturgia che si scollava da tutto il resto, una funzione religiosa avulsa da una vita radicata nella ubbidienza a Dio. Quando un luogo sacro è tutto un vortice di attività, ed i poveri, i deboli continuano ad essere ignorati, allora non ha più senso: è pura religiosità non gradita a Dio.
Sorelle e fratelli, quello a cui accenna il profeta Amos, è il rischio che oggi corriamo, il rischio che corrono quasi tutte le chiese di qualsiasi denominazione, il rischio che il culto divenga soltanto una riunione che piace più a noi che a Dio, un’assemblea di persone che cantano, pregano, leggono la Scrittura ma che poi non rispettano il diritto e la giustizia creando una vera e propria dicotomia tra vita cultuale e vita sociale. Il credente non può avere due vite parallele una dentro il tempio e l’altra fuori di esso!
Tanti anni addietro, quando lavoravo, sia a me che ai colleghi e le colleghe, veniva raccomandato di lasciare fuori del cancello d’ingresso tutti i problemi personali; ma se questa era una raccomandazione valida perché aveva una sua motivazione, non è ugualmente valida quando varchiamo l’uscio del tempio! Quando entriamo in Chiesa, dobbiamo necessariamente portare dentro non solo i nostri problemi ma anche quelli del nostro prossimo e quando usciamo dobbiamo necessariamente portare fuori la Parola, concretizzare la nostra fede con l’attenzione agli ultimi, ai più deboli, agli indifesi, dobbiamo portare al mondo diritto e giustizia.
Il privilegiare diritto e giustizia è amore, l’amore per il prossimo, per l’orfano, la vedova, lo straniero, l’amore cioè verso le categorie svantaggiate di quei tempi: l’orfano che non ha genitori, la vedova senza marito e lo straniero senza terra; persone senza potere, persone che occupavano i più bassi gradini della scala sociale, gente senza voce, senza diritti come oggi lo sono nella nostra società, il disoccupato, il senza tetto, il carcerato, lo psicolabile ecc. L’amore per il prossimo! “Ama il tuo prossimo come te stesso” è il secondo grande comandamento che insieme al primo “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Matteo 22, 37) racchiude tutto l’evangelo, tutto ciò che Dio esige da noi.
L’amore, il grande protagonista dell’inno all’agàpe della prima lettera ai Corinzi (1Corinzi 13) : “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli… se avessi il dono di profezia… tutta la fede in modo da spostare i monti… ma non avessi amore, non sarei nulla” .
Care sorelle e fratelli, se nelle Chiese i culti fossero organizzati al meglio, se le corali fossero composte da numerosi elementi, se i lettori avessero studiato dizione, gli organisti suonassero in maniera magistrale, i sermoni fossero i più belli mai ascoltati, le offerte generose... se poi non si pratica il diritto e la giustizia, si corre il rischio al quale accennavo all’inizio del sermone: Dio non ci vuole più ascoltare!
In particolare, se consideriamo il nostro culto, grazie ai pastori e a quei fratelli e quelle sorelle, che negli anni hanno dato il loro contributo, possiamo dire che è diventato un “ bel culto”. Oggi abbiamo una liturgia ricca, un avvicendarsi di lettori/trici, una serie di responsori, due raccolte di canti, 2 corali, abbiamo un foglietto liturgico curato nei minimi particolari che ha riscosso tanti apprezzamenti nell’ambito di alcune delle nostre comunità.
Tutto sembra bellissimo, coinvolgente dall’inizio alla fine, ma tutto ciò cosa produce dopo che varchiamo l’uscio del tempio?
Di tutto ciò cosa è importante per il nostro Signore se non viene poi supportato da una vita che predilige il diritto e la giustizia, da una vita vissuta alla luce dell’evangelo, priva di superficialità e formalismo? Che senso ha, care sorelle, cari fratelli, leggere una confessione di fede come quella che abbiamo letta oggi “Voglio credere che l’ordine della forza e dell’ingiustizia è un disordine” quando non ci adoperiamo con le nostre scelte di campo per un mondo migliore? “Voglio credere che il diritto è uno tanto qui che altrove e che non sono libero finché un solo essere umano è schiavo” quando non riusciamo ad alzare un dito di fronte ad una ingiustizia o ad un diritto negato ?
Non basta ripetere a parole di essere schierati a favore del diritto e della giustizia, bisogna prima di tutto crederci e poi adoperarsi affinché “scorra il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne” (Amos 5, 24)
Questo versetto del profeta Amos è riportato sul muro esterno di una sinagoga di Saint Paul sul Mississippi dove si può cogliere un nesso tra il senso delle parole e lo scorrere impetuoso di quel fiume ed è lo stesso versetto citato da M.L.King il 28 agosto del’63 alla fine di una marcia per i diritti civili, al Lincoln Memorial a Washington, durante quel sermone divenuto poi famosissimo ” I have a dream ” nel quale il pastore battista diceva:
“Non siamo ancora soddisfatti e non lo saremo finché il diritto non scorrerà come l’acqua e la giustizia come un torrente perenne”
Care sorelle, cari fratelli, neppure noi oggi, possiamo ritenerci soddisfatti dal modo in cui vanno le cose nel nostro mondo ed è per questo che dobbiamo adoperarci ciascuno nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, affinché qualcosa cambi; noi possiamo con un gesto, una parola, una firma, schierarci a favore del diritto e della giustizia.
Spesso non c’è bisogno di imprese faraoniche, di gesti spettacolari, Dio non ci chiede azioni più grandi di noi, sforzi sovrumani; sappiamo che tante gocce formano un oceano e ciascuno di noi può essere la goccia che si unisce a tutte le altre. Amen!
tratto dal sito della Chiesa Evangelica Valdese di Palermo
martedì 1 ottobre 2013
Purificazione dalla lebbra - C.H. Spurgeon | CRISTIANI EVANGELICI
Se tu non confessi che ogni tua azione è stata piena di peccato ed abominevole nel cospetto del Signore, prima che tu fossi rigenerato, non hai ancora appreso quello che tu sei e sarà per te difficile comprendere cos'è un Salvatore.
Purificazione dalla lebbra - C.H. Spurgeon | CRISTIANI EVANGELICI
giovedì 12 settembre 2013
lunedì 5 agosto 2013
Tutta casa e chiesa
Tutta casa e chiesa
Così, una volta, si descriveva una brava ragazza, del tipo con i capelli ben pettinati, la gonna lunga e lo sguardo che le si vedeva solo il bianco degli occhi, tanto era devota e distaccata dalle vanità terrene. Oggi le cose sono cambiate e la “bravura” di una ragazza si vede dal fatto che torna a casa prima di mezzanotte, come Cenerentola.
Il nostro inventario di fine anno, siamo al quarto, riguarda la nostra relazione con la chiesa a cui apparteniamo. Non tanto la chiesa universale, di cui fanno parte tutti i credenti in Cristo e che solo Dio conosce, quanto quella locale, piccola o numerosa che sia, che frequentiamo.
Il Nuovo Testamento ha molto da dire in proposito e alcune cose a molti vanno un po’ strette, perchè poco “aggiornate”. E molte cose che ordina le prendiamo troppo sottogamba.
In ogni modo, la prima domanda è abbastanza scottante.
- Il tempo o la stagione influiscono sulla mia presenza ai culti e soprattutto agli incontri infrasettimanali?
Mentre studiavo all’estero, molti anni fa, sono andata a visitare degli amici in Scozia. Carissimi e gentilissimi, la domenica la chiamavano senza battere ciglio e senza perdere un colpo il “Lord’s Day”, giorno del Signore, e giorno del Signore, era.
Volete sapere come? Ascoltate!
Ore 9. – Scuola domenicale, per tutti, grandi e piccoli. Ore 10. – Culto. Ore 15.30 – Riunione di evangelizzazione all’aperto (pioggia o sole). Ore 16 – Studio biblico. Ore 17.30 – Riunione nei locali di culto a scopo evangelistico.
A ogni riunione tutti cercavano di essere presenti e avevano l’aria felice, perfino i bambini che non si permettevano né di correre nella sala o di parlare a alta voce.
Non so come vadano le cose oggi in Scozia, ma so come vanno da noi.
Oggi, molte chiese la riunione della sera, la domenica, l’hanno abolita. In quelle che non l’hanno abolita, i responsabili devono arrampicarsi sugli specchi, inventando cose nuove e attraenti, per incoraggiare i credenti a frequentarla.
Le conoscete le scuse, no? Oggi mia zia ha il compleanno e si offenderebbe se... C’è la partita. Piove. Fa caldo e la sala non ha l’aria condizionata. Fa freddo e devo pensare ai miei reumatismi. La Bibbia la posso leggere anche a casa.
I più volonterosi dicono: “Ci vado per dare un buon esempio...” e sospirano auspicando modifiche. Non vi dico quali.
Non dico di fare come gli Scozzesi che ho conosciuti, ma che dire dell’esortazione biblica di“non abbandonare la nostra comune adunanza, come alcuni hanno l’abitudine di fare”?
Questo porta alla seconda domanda.
- Perché vado in chiesa? Per abitudine o per convinzione?
- La mia lealtà o la mia obbedienza alla denominazione a cui appartengo sono più importanti della mia lealtà e ubbidienza a Dio e alla sua Parola?
- Quando entro nel locale, prego per i pastore, per gli anziani e i diaconi della chiesa e i membri della comunità oppure mi preoccupo di sapere chi c’è e chi non c’è e salutare gli amici, trascurando altri?
È molto facile che la chiesa diventi una specie di club di gente che vede le cose allo stesso modo, anziché un luogo in cui incoraggiarsi, confortarsi e consolarsi a vicenda in modo veramente spirituale. Attenzione che non diventi un vivaio di chiacchiere, se non di pettegolezzi.
- Quando esco dal locale, dopo il Culto o lo studio biblico, sono deciso a mettere in pratica quello che ho sentito? Durante il sermone, ho preso qualche nota da rivedere a casa e su cui meditare? Mi sono fatto un esame di coscienza, mentre ascoltavo la Parola di Dio, oppure ho pensato: “Questo è esattamente quello che ci vuole per...”?
- Quando mi è chiesto di partecipare a qualche attività di testimonianza o pratica, accetto? Lo faccio di buon grado? Oppure mi dispiace di avere preso un impegno che mi occupa del tempo prezioso?
- Da quanto tempo non ho invitato qualcuno a uno studio biblico evangelistico?
Un inventario importante, non vi pare?
di Maria Teresa Standridge de Giustina
sabato 22 giugno 2013
domenica 19 maggio 2013
disconnettiti per connetterti
Il video non ha certo bisogno di un lungo commento e sebbene sia stato realizzato in Thailandia è comprensibile e veritiero anche per il nostro paese. E' sufficiente fare un giretto sui mezzi pubblici o recarsi davanti alle scuole per vedere il medesimo comportamento. Questo non vuole essere un attacco alle nuove tecnologie, ma una riflessione su come possano essere male gestite; arrivando al paradosso di un mezzo di comunicazione che diventa strumento di distacco.
sabato 11 maggio 2013
agape e phileo
Nel Nuovo Testamento vi sono vari termini per indicare l’amore, ma i più comuni sono agape e phileo.
Phileo
indica l’affetto che si prova fra amici ed in genere è condizionato nel senso
che dice: “ Tu gratti la schiena a me ed io gratto la schiena a te”; che vale a
dire: “ Tu mi tratti gentilmente ed io faccio altrettanto con te”.
Dall’altro
lato agape è l’amore che Dio sparge nel cuore dei suoi figlioli. E’ lo stesso
amore che Gesù ci offre liberamente, senza condizioni. Non è basato su qualche
azione che dobbiamo compiere, né è un contraccambio. E’ un amore che si
continua a dare anche quando viene rifiutato.
Senza Dio
non possiamo amare di un amore egoista, solo quello cioè che non può essere
offerto se non corrisposto. Agape viceversa indica l’amore che non si preoccupa
della risposta.
Noi
costruiamo mura intorno a noi stessi quando veniamo offesi per proteggere il
nostro cuore e prevenire qualsiasi ferita futura. Diventiamo selettivi,
impediamo l’entrata a tutti quelli che pensiamo potrebbero ferirci. Teniamo
lontani tutti coloro che crediamo ci debbano qualcosa. Non li lasciamo entrare
finchè non abbiano pagato interamente il loro debito. Apriamo il nostro cuore
solo a coloro che riteniamo siano dalla nostra parte.
Come abbiamo
visto prima le persone offese costruiscono delle mura di protezione. La nostra
preoccupazione diventa proteggere noi stessi. Dobbiamo essere protetti e
salvaguardati ad ogni costo. Questo ci rende capaci di tradire. E quando
commettiamo u tradimento, in realtà cerchiamo di proteggere noi stessi a danno
di qualcun altro, in genere qualcuno con il quale siamo in relazione.
Così un tradimento
nel regno di Dio avviene quando un credente cerca il suo proprio vantaggio a
spese di un altro credente. Più stretta è la relazione, più penoso è il
tradimento.
Tradire
qualcuno è l’estrema forma di rottura di un patto.
Quando
avviene un tradimento il rapporto d’amicizia non può essere ristabilito senza
un pentimento genuino. Il tradimento provoca l’odio con serie conseguenze. La
bibbia afferma che chi odia suo fratello è assassino e che nessun omicida ha la
vita eterna in se stesso. (1Giov.3:15)
Oggi la
gente non si impegna neppure per un quarto di quanto dice. Perciò facciamo
tanta fatica per sapere quando possiamo credere sulla parola di una persona.
Gesù quando
parla vuole che noi lo ascoltiamo e riceviamo seriamente. Non possiamo prendere
le sue parole nelle stesso modo in cui prendiamo le parole delle autorità
di questo mondo.
Quando Gesù
dice qualcosa, vuole significare proprio quella cosa. Egli è fedele anche
quando noi siamo infedeli. Gesù cammina ad un livello di verità e di sincerità
che trascende la nostra cultura e la nostra società.
Perciò
quando Gesù dice: “ Se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei
cieli perdonerà le vostre colpe”, vuol significare proprio quel che ha detto.
Nel “Padre nostro” leggiamo: “ Rimettici i nostri debiti come anche noi li
abbiamo rimessi ai nostri debitori”.
Mi domando
quanti sono i credenti che desiderano veramente che Dio li perdoni nella stessa
misura in cui essi hanno perdonato coloro che li hanno offesi. Eppure questo è
esattamente il metro con cui saranno perdonati. Poichè il rifiuto del perdono è
così diffuso nelle nostre chiese, non vogliamo prendere sul serio queste parole
di Gesù. Diffuso o no, la verità non cambia. Il modo in cui noi perdoniamo e
rassicuriamo un'altra persona, è lo stesso con il quale noi saremo perdonati.
“
Soprattutto abbiate amore intenso gli uni verso gli altri, perché l’amore copre
una gran quantità di peccati!. (1Pietro 4:8)
E’ facile
amare coloro che a nostro giudizio non fanno nulla di male.
Quello è
l’amore della luna di miele.
E’
completamente diverso amare qualcuno quando ne vediamo i difetti, specialmente
se siamo noi stessi vittime dei suoi errori.
tratto da “L’esca di satana” di John Bevere
mercoledì 8 maggio 2013
parametri vitali
I parametri
vitali esprimono le condizioni fisiche generali della persona.
Principali parametri vitali
Respiro
Polso
Pressione
arteriosa
Temperatura
corporea
RESPIRO
Il respiro è
la capacità d’immettere ed espellere aria dai polmoni. La capacità respiratoria
viene misurata come frequenza respiratoria, cioè il numero di atti respiratori
che un individuo compie nell’arco di tempo di un minuto ed è il processo
mediante il quale gli organismi si procurano l’ossigeno ed eliminano l’anidride
carbonica. Questo avviene a livello dei polmoni, la funzione della respirazione
è quella di apportare alle cellule l’ossigeno necessario alla vita.
La frequenza
respiratoria in un soggetto adulto sano è di 16-20 atti respiratori al minuto.
Eupnoico =
16-20 atti respiratori al minuto
Bradipnea =
10-12 atti respiratori al minuto
Tachipnea =
superiore ai 20 atti respiratori al minuto
L’ossigeno
nel sangue viene misurato tramite l’Ossimetro. La tecnica è quella di
posizionare l’ossimetro nelle dita della mano o si può anche posizionare nel
lobo dell’orecchio o eventualmente nelle dita del piede
I valori
normali nei soggetti adulti sani sono 95-100 %
Ipossia
(carenza di ossigeno) lieve = 91-94%
Ipossia
moderata = 86-90%
Ipossia
grave = inferiore a 86%
POLSO
E’ la
rilevazione di battiti cardiaci nell’arco di tempo di un minuto, il polso può
essere misurato attraverso la palpazione dell’Arteria radiale oppure di quella
carotidea.
Il valore
normale della frequenza cardiaca in un soggetto adulto sano a riposo è di
60/100 battiti al minuto.
Bradicardia
= inferiore a 60 bpm (battiti per minuto)
Tachicardia
= superiore a !00 bpm
Le caratteristiche
del polso sono:
- Carattere
- rappresenta la forza o l’ampiezza del polso
Polso pieno,
pulsazioni forti al di sotto dei polpastrelli di chi rileva i battiti
Polso
debole, pulsazioni deboli al di sotto dei polpastrelli di chi rileva i battiti
-Ritmo -
esprime il rapporto tra i singoli battiti
Regolare o
ritmo sinusale perché il tempo intercorso tra i battiti è sempre lo stesso
Irregolare
quando l’intervallo di tempo intercorso tra le singole pulsazioni non è
costante
PRESSIONE ARTERIOSA
Può essere
definita come la forza esercitata dal sangue contro le pareti elastiche dei
vasi arteriosi
Pressione
Sistolica (massima)
è la
pressione che si crea nelle arterie nel momento in cui il sangue viene espulso
dal cuore.
Pressione
Diastolica (minima)
è la
pressione presente nel circolo arterioso durante la fase di rilassamento del
muscolo cardiaco
I valori
normali della PA in un soggetto adulto sano ed espressi in mmHg (millimetri di
mercurio) sono:
SISTOLICA =
100mmHg più l’età della persona
(per esempio
in un soggetto di 40 anni) 100 mmHg + 40 anni = 140 mmHg
Sono
considerati valori patologici sopra i 180 mmHg e sotto i 90 mmHg
DIASTOLICA =
valori compresi tra 60 e 90 mmHg
È
considerato valore patologico se inferiore a 50 mmHg
IPERTENSIONE:
è l’eccessivo aumento della PA (sopra i 180 mmHg)
IPOTENSIONE:
è la eccessiva diminuzione della PA ( sotto i 50mmHg)
L’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito che i valori di pressione arteriosa
per un soggetto adulto di età compresa tra i 20 e i 60 anni per rientrare nella
norma devono essere inferiori a 140/90 mmHg
Valori
pressori inferiori a 120/80 sono da considerarsi ottimali, purchè la pressione
areteriosa massima sia superiore a 100, altrimenti si ha Ipotensione.
Invece
quando la pressione arteriosa è superiore a 139/89 si ha l’ipertensione.
L’ipertensione
è lieve se la pressione è compresa tra 140-159/90-99,
mentre se è
compresa tra 160-179/100-109 l’ipertensione è moderata.
A valori
pressori superiori a 180/110 corrisponde un’ ipertensione di grado severo.
Lo strumento
da utilizzare per la misurazione della PA si chiama sfigomanometro: è
costituito da un bracciale che viene avvolto attorno al braccio del soggetto e
mantenuto all’altezza del cuore.
Il bracciale
deve essere avvolto tra l’ascella e la piega del gomito, in corrispondenza di
quest’ultima va appoggiato il fonendoscopio, nel punto in cui appoggiando le dita
si sente pulsare l’arteria del braccio (arteria omerale). Contemporaneamente si
palpa il polso radiale, cioè la pulsazione dell’arteria che passa a livello del
polso, dallo stesso lato in cui si trova il pollice. A questo punto il
bracciale viene gonfiato sino alla scomparsa sia dei rumori provenienti dal
fonendoscopio che dal polso radiale; in questo momento la pressione del
bracciale è superiore alla pressione arteriosa.
Successivamente
si riduce lentamente la pressione del bracciale, facendo uscire l’aria in esso
contenuta, azionando l’apposita valvola. Quando la pressione sarà uguale a
quella arteriosa un po’ di sangue riuscirà a passare nell’arteria facendo
rumore; il primo rumore udito chiaramente corrisponde alla PRESSIONE SISTOLICA
( detta anche Massima). Riducendo ulteriormente la pressione i rumori
diventeranno inizialmente più intensi, quindi via via più deboli; la completa
scomparsa dei rumori corrisponderà alla PRESSIONE DIASTOLICA (detta anche
MINIMA).
La pressione
viene quindi indicata con due valori, ad esempio 130/80, il primo valore è la
sistolica ,il secondo la diastolica.
TEMPERATURA CORPOREA
La
temperatura corporea e il grado di calore del corpo degli esseri umani che,
essendo omeotermi, utilizzano dei meccanismi endogeni di termoregolazione (cioè
consentono di mantenere una determinata temperatura corporea media). Nell’uomo
la temperatura normale è comunemente di 37° C con una variabilità di circa +/-
0,4° C, sopra questi valori si può
ritenere febbre (di solito sopra i 38° C).
Per misurare
la temperatura corporea ci avvaliamo dei termometri i quali possono essere di
diverso tipo,
i più comuni
in commercio sono i Termometri a mercurio e i Termometri digitali.
lunedì 6 maggio 2013
giovedì 2 maggio 2013
igiene personale e dell'ambiente
L’igiene è una disciplina che si rivolge alla difesa della
salute. Il suo intento è quello di conferire uno stato di completo benessere
fisico alle popolazioni, prevenendo le malattie e promuovendo la salvaguardia
dell’ ambiente. Differentemente dal medico, l’igienista si occupa degli
individui sani, o ricerca le cause delle malattie ormai in corso con l’intento
di eliminarle. La lotta contro le malattie infettive, epidemiche e contagiose,
è indubbiamente l’aspetto più importante di tale disciplina, che tuttavia si
estende allo studio di nuove metodiche da adottare per proteggere e migliorare
lo stato di salute di tutti gli individui, dal periodo prenatale fino alla
vecchiaia e , più in generale, alla tutela dell’ambiente (inquinamento
dell’aria, dell’acqua, del suolo, degli alimenti) e alla prevenzione dei rischi
professionali.
Per quanto riguarda in particolare l’igiene personale,
esistono alcune norme che , se rispettate, facilitano il mantenimento di un
buono stato di salute: lavarsi i denti dopo ogni pasto è un gesto che costa
poca fatica, ma può evitare grandi disagi come il formarsi della carie e
l’insorgere di infezioni gengivali; una costante igiene intima, invece,
inibisce il proliferare di forme batteriche dell’ apparato genitale. Molta accuratezza
merita la pulizia delle mani e delle unghie che sono portatrici di germi; buona
norma è, infatti, quella di lavarsi accuratamente le mani ogni volta che,
rientrati a casa, si procede a cucinare le vivande o a mangiare. Ricordandoci tutte le azioni che abbiamo
fatto durante la giornata,( maneggiare soldi, reggersi ai sostegni dei mezzi
pubblici, appoggiarsi ai banconi di negozi, ecc.) troveremo mille motivi per
lavarci le mani con cura. Ogni parte del corpo necessita di attenzione e di
piccole cure che, eseguite con costanza, conferiscono al nostro fisico salute e
vigore.
Anche l’ambiente che ci circonda deve mantenere un alto
grado di igiene per scongiurare il diffondersi di malattie. Con grande
attenzione si dovrebbe guardare all’ ambiente scolastico. Nel quale le norme di
pulizia degli spazi comuni e il sistema di conservazione alimentare per le
mense richiedono la messa in atto di severe procedure; un discorso analogo vale
per i luoghi pubblici e gli ambienti di lavoro.
Tuttavia non si può pensare che la responsabilità
dell’igiene ambientale sia compito solo delle istituzioni, è anzi dovere di
ogni singolo individuo partecipare attivamente al benessere comune attuando
comportamenti in tal senso corretti. Ecco perché la scuola appare il luogo più
adatto affinchè le regole igieniche fondamentali vengano insegnate, con corsi e
seminari, ai più piccoli.
la salute
La Salute
riguarda tutti gli aspetti di una persona.
La Salute è
la ricerca di benessere per sé e per gli altri.
La Salute è
una responsabilità individuale e sociale.
“ Che cosa è
la Salute?” chi risponde alla domanda dicendo: “ Salute vuole dire non essere
malati!” dà una risposta incompleta e parziale. In questi anni il concetto di
salute è diventato più vasto e complesso;
l’
Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come uno “stato di
benessere fisico, mentale e sociale”.
La salute
non riguarda solo il corpo ma anche la mente e il nostro rapporto con le
persone: stare bene significa vivere un rapporto positivo con se stessi e gli
altri.
Il benessere
personale non è definito una volta per tutte, ma cambia man mano che cambiamo
noi, che cambiano gli altri e che cambia l’ambiente in cui viviamo.
Nei diversi
momenti della vita non sempre si sta bene: avere cura della propria salute
richiede impegno per rendere il più soddisfacente possibile la nostra
situazione fisica, psicologica e sociale quotidiana.
In questa
prospettiva ciascuno deve sentirsi responsabile in prima persona della salute
propria e degli altri.
mercoledì 1 maggio 2013
Perdona
L'unica persona alla quale tu fai del male con le tue ferite, rabbia, odio e mancanza di perdono, sei te stesso.
Non permettere alle tue amare lagnanze del passato di portare condanna su di te.
Fatti un grande favore: Perdona!
mercoledì 20 marzo 2013
Quando muoio non piangere per me, io sarò tra le braccia di mio Padre,
le ferite che questo mondo ha lasciato sulla mia anima saranno tutte guarite ed io sarò integro,
il sole e la luna saranno sostituiti con la luce del volto di Gesù
e non mi vergognerò perchè il mio Salvatore conosce il mio nome.
Non importa dove mi seppelliranno, sarò a casa e sarò libero
e non importa dove riposerò, tutte le mie lacrime saranno lavate via.
Oro e argento accecano l'occhio, le ricchezze temporanee mentono.
Vieni e mangia nel negozio celeste, vieni e bevi e non avrai più sete.
Perciò non piangere per me amica mia, quando il mio tempo quaggiù avrà fine,
perchè la mia vita appartiene a Lui, Colui che resusciterà i morti.
Non importa dove mi seppelliranno, sarò a casa e sarò libero.
Non importa dove riposerò, tutte le mie lacrime saranno lavate via.
Non importa dove riposerò.
martedì 26 febbraio 2013
martedì 22 gennaio 2013
lunedì 21 gennaio 2013
i Colportori
Il Colportore
(in francese colporteur) era un venditore ambulante di libri, immagini,stampe,
canzoni.
Il
colportore è stato una figura abituale delle fiere, dei mercati di campagna e
dei piccoli centri urbani nel periodo dell’Antico Regime e oltre.
Con il suo
sacco di libri, attraversava lunghi percorsi, fermandosi nei luoghi dove più
ampia era la
concentrazione
di gente. Anche in Italia durante le guerre d’indipendenza che condussero
all’Unità ai col portori fu affidato l’incarico di diffondere programmi ed
iniziative promosse da associazioni patriottiche.
Infine
questi librai ambulanti contribuirono alla diffusione della cultura evangelica
nell’Italia del secondo Ottocento.
I colportori
evangelici in Italia all’indomani dell’Unità e con essi varie società e
organizzazioni protestanti, tentarono di fare conoscere una cultura religiosa
“diversa” rispetto a quella tradizionale cattolica egemone nel paese. La
costituzione di società bibliche, di una casa editrice come la Claudiana, di
una rete slegata ai canali di commercio tradizionali, costituirono i nodi di un
circuito di diffusione del libro, che considerava come suo perno principale, il
colportore: venditore ed evangelista.
A piedi, con
un sacco o una cassetta piena di bibbie, porzioni, commentari, romanzetti,
almanacchi, edificanti,”evangelini”, racconti di vita crstiana (venduti tre ad
un soldo); il colportore evangelico percorreva chilometri e chilometri, dal
nord al sud della penisola, in un terreno spesso ostile alla loro opera.
Venditori e
predicatori, questi uomini tra mille difficoltà contribuirono tuttavia alla
diffusione di una diversa visione della fede tra alcune comunità dell’Italia
del tempo.
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